Essere o vivere by François Jullien

Essere o vivere by François Jullien

autore:François Jullien [Jullien, François]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 123
editore: Feltrinelli Editore
pubblicato: 2017-10-12T04:00:00+00:00


16. Ambiguo (vs Equivoco)

1. Continuando a passare una lama di coltello tra i termini della lingua per aprirvi uno scarto e consentir loro di riflettersi attraverso un confronto, non può non emergere questo sospetto: anche sotto i significati più vicini non si nasconde forse già qualche fessura che finisce per opporli? Per esempio, l’equivoco e l’ambiguo, che sono considerati sinonimi e che normalmente si spiegano l’uno attraverso l’altro, senza darsene pensiero. Per dissolvere l’equivoco credo che sarebbe bene capovolgere questi sinonimi in antinomi. C’è “equi-voco” quando nella “mia” parola mantengo su un piano di “uguaglianza” due sensi che bisognerebbe distinguere l’uno dall’altro per fermare il qui pro quo e non generare una confusione che penalizza il pensiero. Ebbene, l’“ambiguo” designa il fenomeno esattamente inverso: fa apparire sotto le separazioni istituite dalla lingua un’inseparabilità profonda che la distinzione dei nostri termini tende a mascherare. Dunque, l’equivoco nomina un uso viziato da cui bisogna purgare la parola attraverso alcune dissociazioni da fare nell’ambito dello stesso termine; l’ambiguo invece nomina un’indissociabilità di fatto (nell’Essere, il “reale”, o ciò che preferirei chiamare più risolutamente l’effettivo) che le nostre demarcazioni linguistiche hanno ricoperto, facendocelo perdere. Per questo mi arrischierò a riassumere ciò che significa pensare opponendoli l’un l’altro. Pensare significa fare contemporaneamente l’una e l’altra cosa, e tanto meglio l’una quanto più si fa anche l’altra: espellere l’equivoco e al contempo esplorare l’ambiguo.

Mi sono trovato costretto a sottolineare questa opposizione soprattutto quando ho dovuto separare l’amore dall’intimo: l’amore è “equivoco”, l’intimo è “ambiguo”. L’amore è equivoco perché esprime altrettanto bene l’una e l’altra cosa, cioè due aspetti che non hanno quasi nulla a che fare l’uno con l’altro: esprime l’eros greco che, pur elevandosi all’assoluto divino, resta comunque un’esperienza di aspirazione e di conquista, unita alla mancanza, nata dalla privazione e tendente alla soddisfazione. Ma esprime bene anche l’agape cristiana: l’amore di Dio invia suo figlio a morire sulla croce per salvare gli uomini; un amore che non dipende dalla mancanza, ma dal dono, un amore che vuole concedere senza nulla in cambio, senza calcolare, senza mirare a niente; amore che non nasce da un vuoto o da un difetto, ma da una pienezza e dalla sua effusione. Il termine “amore” mantiene un qui pro quo fra i due, contiene indifferentemente l’uno e l’altro e non li separa, anzi si avvale addirittura di questa confusione: è perché gioca tra questi piani o su questi due quadri che in Occidente l’Amore ha potuto stabilire la sua mitologia e diventare il tema banale e ciarliero – tema “rumoroso” – che conosciamo. È questo equivoco che ne fa un termine “falso”, ein falches Wort direbbe Wittgenstein; un termine di cui non si sa mai ciò che dice quando lo dice, poiché viene trattenuto interminabilmente nella parola.

Ciò che promuove e prolunga il gioco della parola nello scambio ordinario è proprio il fatto che sussiste una doppia significazione possibile non definita, Zweideutigkeit: ciascuno riceve il medesimo termine a suo modo, secondo l’accezione che preferisce, e crede che sia condivisa dall’altro;



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